Profondo Rosso

di Dario Argento, con David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia - Italia 1975, 126’
mar 26 set (18.00)
mer 27 set (15.15 - 21.00)
Il pianista jazz Marcus Daly assiste casualmente all’omicidio della medium Helga Ullman, ma senza riuscire a riconoscere l’assassino. Coinvolto dalla giornalista Gianna Brezzi decide di indagare, venendo trascinato in una spirale di avvenimenti e scoperte a cui fa da sfondo una Torino spettrale e minacciosa...
Torna nelle sale restaurato uno dei più grandi film del Maestro del brivido Dario Argento, una delle vette del thriller mondiale in cui il regista ci trasporta in un giallo visionario e labirintico. Un enigma alla soglia dell’astratto, realizzato con una regia assolutamente libera di esplorare i meandri dell’inconscio e dell’irrazionale. Tra l’onirico e l’ipnotico, l’efferato e il musicale, Profondo Rosso costituisce ancora oggi un’esperienza cinematografica insuperabile.
«Va bene, molto bene. Forse un po’ troppo “per bene”. Troppo pulitino, sì, preciso, troppo formale. Dev’essere più “buttato via”». Le parole con cui il protagonista redarguisce con garbo la sua jazz band sono le prime che udiamo, prima che il montaggio ci trasporti di colpo altrove. È una dichiarazione di intenti da parte di Argento, lì dove “buttare via” corrisponde a seguire l’istinto, i sensi, i pensieri, le suggestioni del sogno. Ma le regole vengono già infrante durante i titoli di testa, quando vengono interrotti da un primo flashback. A metà strada tra la sua precedente “trilogia degli animali” (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio) e l’estasi sensoriale di Suspiria, Profondo Rosso è lì che galleggia a filo d’acqua tra razionale e irrazionale, prendendo da entrambi tutto ciò che l’intuizione del momento può dargli. La logica e la coerenza lasciano spazio quasi assoluto alla suggestione, all’incanto e alla paura in tutte le sue forme. Un film a cui abbandonarsi completamente, seguendo il flusso incosciente dell’indagine e del mistero. Profondo Rosso è prima di tutto un’esperienza sensoriale. Le scelte della regia di Argento - inaspettate, imprevedibili - rendono ogni scena un piccolo universo cinematografico a sé. La colonna sonora firmata da Giorgio Gaslini e dai Goblin di Claudio Simonetti, spaziando tra jazz e prog, avvolge il tutto con un manto di terrore ed estasi. Musica e immagini si trascinano a vicenda in uno stimolo continuo, alternando atmosfere conturbanti e sobbalzi, momenti brillanti e totali immersioni nell’oscurità. Il mistero, la paura, la psiche, l’indagine, lo smarrimento: Profondo Rosso è thriller puro, una discesa libera a cui abbandonarsi davanti al grande schermo.
«La mia intenzione era quella di costruire un ordigno narrativo che potesse rendere insostenibile - e insieme magnetico - il viaggio emotivo dello spettatore nell’intricato puzzle della trama. A me interessava far precipitare i personaggi in un percorso visionario, fatto di tranelli e di suggestioni oniriche. Io mostravo omicidi che erano pura estetica, mettendoli in scena come se fossero delle feste di morte. Certo, anche i miei erano degli assassini, ma per ciascuno di loro mi sono sempre impegnato a rintracciare motivazioni sepolte nell\'inconscio». (Dario Argento)