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Rapito

 

  • Martedì 19 Settembre 15:00
  • Martedì 19 Settembre 18:00
  • Martedì 19 Settembre 21:00

 

di Marco Bellocchio, con Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Enea Sala - Italia 2023, 134 
  
Nastro d’argento per miglior film, migliore regia, migliore attrice protagonista (Barbara Ronchi), migliore attore non protagonista (Paolo Pierobon), migliore sceneggiatura, miglior montaggio

mar 19 set (15.00 - 18.00 - 21.00)
mer 20 set (17.00)  
 
Nel 1858, nel quartiere ebraico di Bologna, i soldati del Papa irrompono nella casa della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a prendere il loro figlio di sette anni perchè si dice fosse stato segretamente battezzato. Per la legge papale deve quindi ricevere un’educazione cattolica. I genitori di Edgardo, sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta dall’opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il Papa non accetta di restituire il bambino… 
  
Marco Bellocchio racconta la storia vera di Edgardo Mortara, un bambino ebreo bolognese sottratto alla propria famiglia. In un momento storico in cui il Vaticano vedeva in pericolo il suo potere, papa Pio IX cercava con ogni mezzo di riaffermare la propria autorità.

«La storia del piccolo Edgardo mi interessa profondamente perché mi permette di rappresentare prima di tutto un delitto, in nome di un principio assoluto. “Io ti rapisco perché Dio lo vuole. Sei battezzato e perciò cattolico in eterno”. Il Non Possumus di Pio IX. Che è giusto per una salvezza ultraterrena schiacciare la vita di un individuo, anzi di un bambino che non ha, poiché bambino, la forza per resistere, per ribellarsi. Anche se il piccolo Mortara rieducato dai preti resterà fedele alla Chiesa cattolica, si farà prete (e questo è un affascinante mistero che non si può liquidare col solo principio della sopravvivenza, perché dopo la liberazione di Roma, Edgardo, potendo finalmente “liberarsi”, resterà fedele al Papa) e anzi tenterà fino alla morte di convertire la sua famiglia rimasta fedele, invece, alla religione ebraica. Il rapimento di Edgardo Mortara è anche un delitto contro una famiglia tranquilla, mediamente benestante, rispettosa dell’autorità (che era ancora in Bologna, l’autorità del Papa-Re), in anni in cui si respirava in Europa un’aria di libertà, dove si stavano affermando ovunque i principi liberali, tutto stava cambiando e proprio per questo il rapimento del piccolo rappresenta la volontà disperata, e perciò violentissima, di un’autorità ormai agonizzante di resistere al suo crollo, anzi di contrattaccare. I regimi totalitari hanno spesso dei contraccolpi che per un momento li illudono di vincere (il breve risveglio che precede la morte). Oltre l’estrema violenza dell’atto subito dal piccolo Edgardo, mi piacerebbe raccontare il suo smarrimento, il suo dolore, dopo l’abbandono forzato, ma anche il suo cercare sempre di conciliare la volontà del suo secondo padre, il Papa, con la volontà opposta dei suoi genitori di riportarlo a casa. Tenacissima la determinazione della madre, più debole la ribellione del padre che pensa soltanto al benessere del bambino. Edgardo, tentando per tutta la vita una riconciliazione impossibile, non rinnegherà mai i suoi genitori, le sue origini, non rassegnandosi mai al fatto che la madre resterà ebrea fino alla morte. Ma in questa conversone di Edgardo, sempre tenacemente affermata, non mancheranno le improvvise ribellioni, inaspettate, più o meno inconsce. Non diventerà mai Edgardo un automa del Papa, e ne è la prova la sofferenza, con le numerose prolungate malattie che lo costringeranno a letto per lunghi periodi. Come dicevo prima l’altro enigma di questa storia è la conversione di Edgardo. Possiamo guardare da fuori il “fenomeno” o, con amore e partecipazione, tentare soltanto di rappresentare un bambino violentato nell’anima e poi un uomo che, fedele ai suoi violentatori che crede suoi salvatori, diventa alla fine un personaggio che ci esime da ogni spiegazione razionale. È un film, non è né un libro di storia o di filosofia, né una tesi ideologica». (Marco Bellocchio).  
  
 
  

 
 

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